Il mio viaggio in Centro America, partito con intenzioni tutt’altro che correlate a Bitcoin, è diventato ben presto un viaggio tinto di arancione. Oltre all’evidente tendenza di chi ha un’ossessione di parlarne con chiunque alla prima occasione possibile – mi scuseranno gli ospiti di tutti i vari ostelli o anche solo i passanti del caso tediati da certi discorsi evidentemente “tossici” – questo fatto è stato favorito dalla possibilità di essere in un’area in cui sono presenti diversi esperimenti Bitcoin tutti caratterizzati da diversi approcci e fasi di evoluzione.
Messico
In Messico, malgrado le incoraggianti recenti dichiarazioni di certe figure politiche, Bitcoin è praticamente inesistente, soprattutto in rapporto alle dimensioni della sua economia: solitamente le persone o ne hanno sentito parlare come di una cosa da trader, per farci i soldi oppure addirittura non l’hanno mai nemmeno sentito nominare, specie in certe fasce demografiche. Buona fetta della popolazione non ha accesso ad un conto in banca, ma, seppure sia abbastanza avvezza a forme di pagamenti online alternativi, la gran parte degli scambi quotidiani avviene tramite contante. Nonostante la minor tendenza ad indebitarsi rispetto ad esempio ai vicini USA, in alcune fasce della popolazione si percepisce una bassissima possibilità o propensione al risparmio – ne è una testimonianza l’interminabile coda che si forma agli ATM nei giorni di paga, il 15 e il 30 del mese. Il Peso messicano, inoltre, negli ultimi anni ha retto relativamente bene in termini di potere d’acquisto per essere una moneta fiat, soprattutto considerando il suo track record di devastazione per classe media e bassa dei decenni precedenti. Questi sono fattori che, come cercherò di dimostrare in un prossimo articolo, non favoriscono un’adozione di bitcoin particolarmente rapida ed è il motivo per cui secondo me esso non sia affatto popolare in quest’area. C’è anche da dire che tra i Messicani a cui ho introdotto l’argomento, il fatto che Bitcoin non sia controllabile da enti centrali sembrava essere un argomento di particolare interesse, vista la naturale diffidenza verso le classi politiche, più che per la media dei viaggiatori europei. Da questo punto di vista, il potenziale per comprenderlo è sicuramente presente.
Nonostante il poco interesse generale, a San Cristobàl de las Casas - nel Chiapas a sud del paese - mi sono ritrovato con un Bitcoiner di lunga data dall’Inghilterra che aveva intenzione di replicare gli esperimenti di altre piccole realtà del Centro America di cui parlerò più sotto. L’idea è quella di provare a creare un’economia in cui si convincano alcuni business locali ad accettare satoshi - frazioni di bitcoin - come pagamento e che a loro volta possano pagare i loro fornitori in bitcoin in modo da stimolare un’adozione come mezzo di pagamento e non dover quindi pensare necessariamente alla conversione in peso, elemento essenziale per quelle persone che necessitano di spendere subito ciò che guadagnano. Quando ho lasciato il paese, il progetto era ancora in fase embrionale, con solo un paio di ostelli che hanno deciso di accettare bitcoin come pagamento: quello in cui il ragazzo inglese ha deciso di investire – e di chiamare “Casa Satoshi”, da supportare nel caso vi trovaste nell’area – e quello in cui, avendo svolto un periodo di volontariato, sono riuscito a convincere il proprietario.
Il contatto con persone influenti della città è un punto a favore per fare business all’interno di realtà come questa, e sembrerebbe che tra i maggiori proprietari di immobili ed attività a San Cristobal ci sia una certa curiosità nel vedere un possibile progetto di bitcoinizzazione che possa attirare l’attenzione di turisti e appassionati. Sarei molto curioso di tornarci tra qualche anno e vedere se questo esperimento sia rimasto tale o se effettivamente abbia attecchito tra la popolazione.
Guatemala
In Guatemala la situazione generale non è troppo diversa dal Messico per quanto riguarda l’utilizzo del contante e le tendenze della popolazione. Il Quetzal, ossia la moneta locale, inoltre, è ritenuta una delle più solide tra i paesi dell’intera America Latina, cosa che riduce naturalmente l’incentivo all’adozione di bitcoin come metodo di pagamento alternativo rispetto ad altre economie – vedasi Libano, Zimbawe, Venezuela, Turchia e via discorrendo. Il fatto che in un ostello a Panajachel, splendida cittadina turistica sulle sponde del lago Atitlan, fosse esposto un listino prezzi risalente al 1994 e che la stessa camera in cui ero alloggiato all’epoca costava 10 volte meno in termini di Quetzal – e questa è una delle monete più solide! - fa capire la situazione drammatica in questo senso di quest’area del mondo. Quando la perdita del 90% di potere d’acquisto in 30 anni è considerata sinonimo di solidità monetaria – e i salari non sono certo saliti allo stesso ritmo – capisci quali sono i benchmark di rendimento delle monete fiat ed il conseguente drammatico impatto sulle possibilità della gente comune di migliorare il proprio tenore di vita.
Ma è proprio a Panajachel che ho assistito ad uno degli esperimenti più interessanti di questo viaggio: il cosiddetto “Lago Bitcoin”.
In quest’area, come ben documentato anche dai Bitcoin Explorers, la presenza di negozi e attività che accettano ben volentieri satoshi come pagamento è molto alta in rapporto alla popolazione ed in percentuale sul totale. I ragazzi che hanno ideato questo progetto – ispirato alla celebre “Bitcoin Beach” di El Salvador – e che abbiamo avuto la fortuna ed il piacere di conoscere, folgorati dalla rivoluzione di Satoshi, hanno deciso poco più di un anno fa di provare a “bitcoinizzare” nell’area del lago, riuscendo a convincere molti esercenti (più di 60 nella sola Panajachel) ad accettarne pagamenti, spingendo sia sulla sua filosofia decentralizzata ed ingovernabile, ma anche sul fatto che, essendo una località molto turistica, i pagamenti elettronici sono più diffusi che da altre parti del paese e il costo di passare tramite i circuiti internazionali è per i commercianti locali altissimo – tra il 5% e il 10%. Pagamenti con commissioni nell’ordine della frazione di centesimo di dollaro come quelli garantiti dal Lightning Network di Bitcoin, in questo contesto, diventano particolarmente appetibili e possono colmare un bisogno reale già da ora. Conoscendo Eliazar, il ragazzo del luogo che ha dato il là al progetto, ho capito quanto l’entusiasmo di trasmettere il valore di Bitcoin alla propria comunità possa spingere a fare grandi cose, persino a diventare un “walking ATM” - quello che in italiano sarebbe “l’ATM che cammina”: siccome gli esercenti non sempre, specialmente all’inizio, sono convinti o hanno la possibilità di detenere i satoshi ricevuti dai clienti perché diffidenti, per non esporsi alla volatilità o per necessità di spendere in moneta locale, Eliazar li convinceva dicendo loro che ad ogni pagamento in bitcoin che ricevevano, lui stesso era disposto seduta stante ad andare da loro e cambiare quei satoshi per contanti senza alcuna commissione! Questo anche per ovviare al fatto che in Guatemala la legislazione mi è parsa e ho sentito essere piuttosto avversa alle cosiddette “cryptovalute”, tanto che provare ad impiantare un ATM – uno vero, non umano – ci hanno detto essere un incubo burocratico. Ma l’entusiasmo riesce anche dove i burocrati fanno quello che sono nati per fare, ossia ostacolare la libertà delle persone – ed è probabilmente la cosa più da filosofia Bitcoin che mi venga in mente!
Lo stesso Eliazar e due ingegneri Americani che partecipano all’iniziativa, mi hanno mostrato anche il loro progetto di “mining fai da te”: utilizzando olio da frittura consumato dalle attività locali come combustibile per alimentare un vecchio motore diesel – per pietà verso il lettore evito la parentesi su cosa ci suggerisca questa cosa dei cosiddetti oli di semi – a sua volta collegato ad un paio di ASIC (dispositivi per calcolare efficientemente un enorme quantitativo di hash, meccanismo alla base del mining), stavano cercando di “estrarre” satoshi in maniera “sostenibile”. Il problema che stavano riscontrando era principalmente legato all’approvvigionamento logistico dell’olio, non certo facilitato dalle infrastrutture locali non proprio efficienti. Hanno però in piano di raggiungere degli accordi con le amministrazioni locali per utilizzare plastica riciclata e, più in grande, sfruttare uno dei tanti corsi d’acqua della zona come bacino idroelettrico. Se c’è una cosa che ho capito da questo viaggio è che i Bitcoiner pensano molto in grande, soprattutto rispetto alla media.
Se a questo progetto entusiasmante, nato da solo un anno, si aggiunge la bellezza mozzafiato del luogo, il fatto che sia molto economico e il clima sempre temperato, il consiglio a qualsiasi bitcoiner si trovi in zona è quello di visitarlo assolutamente.
El Salvador
Di El Salvador tutti gli appassionati di Bitcoin hanno sentito sicuramente parlare: è la Bitcoin Country, la prima nazione ad aver adottato bitcoin come moneta a corso legale – per non ripetere cose già lette e rilette, rimando ad un articolo di Bitcoin Magazine sull’argomento.
Come evidenziato molto bene già da altri “inviati” sul posto, bisogna fare una netta distinzione tra l’area in cui l’adozione è nata dal basso – cioè con il progetto della Bitcoin Beach presso El Zonte e nella zona immediatamente limitrofa da cui è poi nata l’ispirazione per la cosiddetta “legge bitcoin” nazionale - dal resto del paese in cui l’approccio è stato di decisione politica top-down e in cui le persone si sono viste “imporre” questa novità per decreto. Nella prima area, la possibilità di pagare in bitcoin, di incontrare persone ivi trasferitesi per costruire qualcosa in un ambiente favorevole – o anche solo in viaggio per curiosare e valutarne la fattibilità – rappresentano effettivamente un’attrattiva molto allettante per chiunque sia interessato all’argomento. I meetup sul tema sono molto frequenti e la sensazione di potersi sentire sulla stessa linea su certi argomenti è di questi giorni tanto rara quanto preziosa. I Bitcoiner amanti di spiagge di origine vulcanica, surf, sole e tranquillità non possono che trovarsi a proprio agio da quelle parti.
Nel resto di El Salvador, però, Bitcoin non sembra aver attecchito più di tanto – e come per ogni iniziativa politica, ciò non mi stupisce affatto. La cosa positiva è che, a differenza per esempio del Messico, tutti quelli con cui ho parlato, delle più svariate età e provenienze, ne hanno sentito parlare, il che è già un inizio. Il problema con una fetta di questi è che hanno associato Bitcoin allo Stato, in antitesi con quello che in realtà rappresenta, e in particolare al wallet fornito dal governo – che di Chivo, ossia “cool”, non ha proprio nulla, essendo KYC, permissioned, custodial e particolarmente mal funzionante, il contrario degli obiettivi di un buon wallet. Il risultato è che la popolazione si è politicizzata sull’argomento: quelli a favore in generale delle politiche del presidente Bukele – c’è da dire la maggior parte – sono generalmente aperti o indifferenti alla cosa, a seconda che l’abbiano compresa o meno, mentre gli oppositori sono di solito molto più scettici. Di conseguenza, solo una piccola parte della popolazione, i più curiosi e forse lungimiranti, sono andati oltre quello che lo Stato ha preparato per loro, con la speranza che sempre più persone seguano il loro esempio in futuro superando lo scoglio iniziale rappresentato dal modo non proprio esaustivo con cui gli è stato introdotto.
La riuscita di questo esperimento dipenderà quindi molto dagli sviluppi dei prossimi anni, sia in termini di “mercato” e necessità dello strumento che politici ed educativi. Riguardo quest’ultimo punto, c’è da sottolineare un aspetto positivo, ossia che, a differenza per esempio del Guatemala, il framework burocratico favorevole permette più facilmente di mettere in piedi iniziative indipendenti ma ufficialmente riconosciute volte a “diffondere il verbo”. Ne è un esempio lampante “Mi Primer Bitcoin”, iniziativa nata da soli due anni ma che ha già raggiunto un vasto pubblico di giovani studenti e che ha iniziato ad espandersi anche al di fuori delle scuole, con un programma ben definito e formalizzato per insegnar loro le basi tecniche ed economico-filosofiche di Bitcoin senza tralasciare l’aspetto pratico di utilizzo come riserva di valore e mezzo di pagamento. Ho assistito e fatto personalmente da esaminatore alla prima consegna di diplomi per persone al di fuori degli istituti scolastici che si erano iscritte volontariamente al programma, nella città di Usulután. Devo dire che è stata un’esperienza magnifica, che mi ha fatto toccare con mano gli effetti e l’importanza dell’educazione e della divulgazione di queste idee. La storia del 75enne che si sorbiva 2 ore di viaggio per seguire ogni lezione spinto solamente dalla curiosità di saperne di più è forse quella più emblematica e rappresentativa, ma ognuno degli studenti rappresenta una piccola goccia di speranza verso un futuro migliore per il paese e per l’umanità.
Come si sarà capito, la mia impressione è che per El Salvador questo sia per ora un “esperimento” con luci ed ombre: l’approccio top-down che la gran parte dei cittadini ha vissuto non è sicuramente quello più in linea con la rivoluzione Bitcoin, per definizione permissionless, decentralizzata e spontanea, ma ha quantomeno favorito la conoscenza del tema e la creazione di alcune iniziative educative molto interessanti. Ho inoltre sensazioni contrastanti su quelle che siano le intenzioni del governo Bukele in questo senso: da una parte è evidente che, da paese dollarizzato, l’incentivo ad adottare Bitcoin sia prettamente politico, dato che, a differenza di paesi con moneta propria, El Salvador non solo non deve difendere i vantaggi garantiti dalla vicinanza alla stampante monetaria, ma subisce ancor più degli altri gli umori e le politiche della Federal Reserve americana. Se però sarà in grado di mantenere questa linea con una visione di lungo periodo, l’eventuale apprezzamento delle riserve del paese ed i benefici dati da ingresso di capitali e turismo potrebbero avere un effetto molto benefico anche sulla popolazione. Dall’altro lato, un’eventuale insistenza su soluzioni governative come il Chivo wallet potrebbero suggerire che la priorità non sia quella di favorire l’utilizzo di Bitcoin al massimo delle sue potenzialità per i propri cittadini, ma di usarlo come strumento di controllo sia a livello politico che in un certo grado anche monetario – dato che una soluzione custodial permette un certo tipo di dinamiche ormai note a chi abbia un minimo di dimestichezza su come funzioni il sistema bancario a riserva frazionaria.
Proprio per la presenza di una certa dipendenza da quella che sarà la sua direzione politica, instabile per definizione, ritengo che le possibilità future di El Salvador abbiano una maggiore variabilità rispetto agli altri progetti: nella migliore delle ipotesi, potrebbe uscirne enormemente migliorato così come invece rimanere nell’attuale situazione non certo da primo mondo o addirittura perdere i vantaggi finora ottenuti grazie alla nuova direzione intrapresa – per esempio a seguito di un cambio di guida o linea politica.
Costa Rica
Nonostante la vicinanza, il Costa Rica appare molto diverso dalle nazioni limitrofe, soprattutto se come me si giunge via terra partendo dal Messico e passando per Guatemala, El Salvador, Honduras e Nicaragua. Il tenore di vita – e i prezzi – subiscono un’impennata non trascurabile appena varcato il confine settentrionale. Questo è probabilmente dovuto ad un’economia più florida e alla relativa solidità del Colon, la moneta locale, negli ultimi anni. Maggiore tenore di vita e maggiore modernità vogliono anche dire maggiori possibilità di risparmio – nonostante anche qui come in Europa i cittadini percepiscano una certa tendenza verso l’oppressione della classe media tramite regolamentazioni e imposizioni eccessive – e maggior dimestichezza con i pagamenti elettronici, fattori che dovrebbero favorire rispettivamente le funzioni di riserva di valore e mezzo di pagamento di bitcoin a parità di tutto il resto, anche se dall’altro lato la relativa solidità della moneta locale tende invece ad abbassare l’incentivo alla ricerca di un’alternativa.
Anche in Costa Rica, come in Guatemala, un progetto di adozione dal basso e tentativo di economia in bitcoin ha attirato in particolare la mia attenzione: la cosiddetta “Bitcoin Jungle” nella splendida area di Uvita, Dominichal e Ojochal, sulle sponde del Pacifico. Purtroppo, a differenza del Lago Bitcoin, non sono riuscito ad entrare in contatto con il team che sta lavorando al progetto – rimando quindi al lavoro altrui per chi fosse interessato. E’ stato però molto interessante vedere che già diversi ristoranti e locali accettano bitcoin e che essi a loro volta potrebbero potenzialmente rifornirsi nei mercatini locali riutilizzando quei satoshi ricevuti, dato che sono accettati praticamente da tutti. C’è da dire che, forse per il fatto che la maggior parte degli abitanti in questa zona sono espatriati Americani, Canadesi o Europei, questi mercati mi sono sembrati molto più “hipster” e meno forniti di quelli a cui ero abituato nel resto del Centro America, ma è comunque un risultato notevole che dà di fatto la possibilità di vivere effettivamente in bitcoin già da ora a chi volesse farlo.
La bellezza naturalistica, il tenore di vita più simile a quello a cui siamo abituati ed un ambiente internazionale sono i fattori aggiuntivi forse più attraenti per chi volesse decidere di sperimentare la vita da bitcoiner lontano da casa in questa area del mondo.